AL FORUM MONDIALE DEI GIOVANI DIRITTO DI DIALGO LA MOSTRA “I MESTIERI DI CUBA”

 

Il giovane fotografo polacco Marcin Piekalkiewicz, socio del Centro, dopo il suo recente viaggio a Cuba, ha documentato in una serie di scatti la vita lavorativa nell’isola un decennio dopo il ritiro politico di Fidel Castro. Per raccontare ciò che è cambiato e ciò che invece è rimasto esattamente come prima.

domenica, Casa della Musica, via capitelli 3 ore 16,00.

 

TRIESTE – A 10 anni dall’addio di Fidel Castro alla politica, Cuba ha subito una serie di importanti trasformazioni: senza rinnegare i suoi ideali rivoluzionari e la struttura comunista, il Paese si è riconciliato con il suo nemico storico, gli Stati Uniti, e ha lentamente intrapreso una serie di riforme economiche, come l’apertura al settore privato, maggiori agevolazioni per gli investimenti stranieri e l’abolizione, perlomeno sulla carta, di alcune restrizioni che opprimevano i cubani da anni, per esempio quelle sui viaggi all’estero, la compravendita di auto e case. Ma nella vita lavorativa quotidiana dei cubani finora ci sono stati ben pochi cambiamenti, complici i salari bassi e le difficoltà economiche in cui versano molte famiglie.

 

Mi chiamo Marcin, studente, nato a Varsavia nel 1987. Nel passato facevo il commesso, il barista, il lava-pavimenti, il lava-finestre, il tecnico IT, il venditore di corsi di formazione, l’insegnante d’italiano, il traduttore. Da poco tempo cerco di fare l’economista. L’economista della felicità. Sogno una grande carriera in questo mestiere. Non ho mai fatto il fotografo. Mia nonna invece sì. Pure mia madre, ma ha dovuto smettere quando sono nato io. Da loro due ho imparato di più. Diciamo che con questa mostra cerco di continuare la tradizione famigliare.

 

A giugno ho fatto un piccolo viaggio a Cuba. Ho incontrato tante persone. Ogni persona aveva la sua professione. Il suo mestiere.

Il giornalista. Un mestiere molto difficile. Devi imparare a raccontare le balle. E devi essere credibile. Devi essere talmente bravo che la gente creda che Cuba sia un grande paese. Se non vuoi raccontare le balle, puoi aprirti un blog per scrivere gratis (come ha fatto, ad esempio, Yoani Sanchez[1]). Te lo chiudono subito, però, perché quello che racconti non sono le balle.

Il musicista.

L’insegnante di musica.

L’insegnante di ballo.

La pittrice. Ydelis. Nata a Pina del Rio, 27 anni. Laureata in pittura all’accademia delle belle arti. Il suo sogno è vedere un altro paese, non importa quale, basta andare all’estero. Difficile. I costi del visto equivalgono a quello che si guadagna, in media, in 4-5 anni. Sarebbe molto più facile se potesse vendere i suoi quadri su internet, al mercato internazionale, ma non si può. Mi ha chiesto di non nominare il suo nome – l’ho dovuto cambiare, quindi quello che avete appena letto non è il suo nome vero. Mi ha ospitato a casa sua rischiando 2 anni di galera, perché un cubano non può andare in giro con un turista. Ha paura. Ha paura di essere se stessa. Come tanti altri giovani dopo la storia del documentario “Alamar Express”, in cui i protagonisti avevano semplicemente espresso il loro parere. Sul governo, sulla libertà, sulla vita quotidiana a Cuba. Poi sono stati ritrovati. E ora sono in galera.

Il trasformista. Uno dei pochi mestieri che vengono fatti con “sentimiento”. Juan Felipe – nei gay bar di Havana conosciuto come Angela Nefer – mi ha detto che non lo faceva per l’ideologia gender o LGBT. Lo fa per l’arte.

L’addetto alla sicurezza. Non ha praticamente nulla da fare. La violenza a Cuba non c’è. Questo ti raccontano nei giornali, in tv. Nonostante ciò, la gente ti dice di stare molto attento quando torni a casa di sera. Lo sa.

Il custode di casa. Una persona molto vigile. Quando arriva un turista e viene ospitato illegalmente da un cubano, bisogna denunciare il padrone di casa. Oppure si può chiedere al turista un po’ di soldi giusto per stare zitti.

L’agente di viaggi. Non è troppo impegnato. La gente non viaggia. Non ha soldi. Non può.

L’autista di risciò.

Il pescatore. Lo fanno tutti. È facile. E ti permette di ottenere un po’ di pesce fuori del limite imposto dalla tessera annonaria.

Il commesso. Non può confondere i prodotti che vende: di latte ce n’è un tipo e la coca-cola si chiama Tukola.

L’imprenditore. È spesso molto preoccupato che le tasse (assurde) lo forzino un giorno a chiudere gli affari.

Il venditore di cipolle.

Il venditore di carne. Lavora in condizioni molto difficili, senza frigorifero. Il manzo? Non c’è. Non si vende, non si mangia. La mucca ti dà il latte. Non si uccide la fonte di latte.

Il venditore di giornali. Vende le balle raccontate dal giornalista, anzi, dal governo.

La venditrice di libri.

Il venditore di DVD. Lo fanno i furbi. Ci vuole solo un po’ di internet, un registratore DVD, una stampante, e l’intuizione su cosa scaricare. Un mestiere in forte espansione a Cuba. Tutto legale.

Il venditore di internet. È un uomo molto potente. Ha abbastanza soldi per comprare tutte le schede internet del chiosco per poi rivenderle a prezzo aumentato. 3 dollari, che corrispondono al 10% del salario medio mensile a Cuba, ti bastano per un’ora su skype con tua figlia che è scappata in Florida.

Il pensionato.

Il disoccupato.

E tu, chi vorresti diventare da grande?

[1] Vedi http://generacionyen.wordpress.com/ e http://www.14ymedio.com/ – i blog non accessibili da Cuba.